giovedì 21 aprile 2016

Sequitemi, miei pugnaci! (Da Viterbo a Soriano nel Cimino)

monte cimino


27 Marzo 2016

Lo dì odierno est dì di gran festa. La Pasqua, oh miei pugnaci, domina le menti et le abitudini de li viterbesi. Lo popolo de lo quartiere di Pianoscarano fa gran dono di salumi, cacio et vino. Ei mi rifonirà di vivande per lo gran cammino che da la citade de li papi mi porterà, dopo aver scalato lo Monte Palanzana et traversato la selva cimina per giungere a la sommità de lo Monte Cimino, a Soriano, borgo dominato da lo castello de li Orsini, onde la trattoria de "Li tre scalini" mi sollazzerà con gnocchi et core de vitella.

Itinerario: Viterbo - Monte Palanzana - La Faggeta - Monte Cimino - Soriano nel Cimino



Per una descrizione precisa del percorso a piediViterbo - Soriano nel Cimino


Cammino: 21 Km
Pasqua a Viterbo, scendo le scale zoppicando per l'acido lattico accumulato nella notte. Una sensazione ben conosciuta, questo male passeggero si allevia camminandoci sopra e scompare di solito al terzo chilometro di marcia.
Nella grande sala con caminetto affrescato ci siamo io e una coppietta in viaggio pasquale. La tavola è imbandita con merendine confezionate, qualche yogurt e poco altro. In mezzo a tutto spicca una pizza pasquale, piatto tipico della zona, mi spiegano, servito alla tradizionale colazione di Pasqua. Alla locanda non accettano carte, mi avventuro nel quartiere medievale di San Pellegrino e poco fuori per trovare un distributore di danari. Perdendomi nei vicoli, sotto archi, sopra scalette nascoste, a ridosso di chiese e palazzi con profferlo, incantato dalle architetture di peperino e tufo tra cui si sviluppano belle stradine silenziose, arrivo alla Fontana Grande, una delle tante di Viterbo. Non a caso oltre ad essere chiamata "città dei papi", ha anche il soprannome di "città delle fontane". La città è deserta, fervono i preparativi per la messa o il pranzo pasquale. Il proprietario della locanda mi dice che a Pianoscarano, giusto in cima a una salita davanti all'uscio del suo palazzo, è tradizione regalare salumi, formaggi e vino la mattina di Pasqua. Miracolo pasquale! Se non esistesse questa venerabile tradizione, avrei dovuto affrontare il cammino senza nemmeno dei viveri fino a Soriano nel Cimino. Questa consuetudine mi ricorda quando da bambini i miei fratelli ed io, equipaggiati con zaini e vestiti dalle tasche larghe, ci presentavamo a messa finita alla chiesa di Albarella (un isoletta per vacanze in Veneto), per razziare il banchetto pasquale e andare in pace.
Lasciando il parco del Paradosso arrivo alla piazzetta del quartiere di Pianoscarano, dove uomini e donne servono salumi di ogni tipo, tra cui uno dei miei preferiti: coppa di testa di maiale, mirabile opera di arte norcina. Raccolgo due o tre fette di ogni tipo di affettato: coppa, salame, prosciutto crudo, lonzino, e aggiungo pane e formaggio. Uso la bella fontana della piazza come tavolo per preparare le scorte per il cammino e sono pronto a partire, dopo un ultimo sguardo un po’ malinconico sulla folla alle spalle. Sono combattuto tra l’avventura solitaria nei monti cimini e una visita alla bella Viterbo, dove potrei aggiungermi alla festa. Non rinuncerò alla tappa quotidiana, ma questo conflitto mi accompagnerà fino al primo sentiero al di fuori della città.
Uscendo dal centro abitato posso ammirare alcune bellezze di Viterbo: Palazzo Chigi, Piazza del Pleibiscito, Piazza Erbe, Piazza Teatro Nuovo, il Santuario di Santa Rosa e le mura della città da cui mi allontano verso Strada della Palanzana, l’attacco del percorso di oggi. 
In tema di Brancammino, si sappia che lo eroico Brancaleone giungette anche a Viterbo: invero lo canto ammaliante de la bella appestata, con cui isso si concedette un momento di libidine, provenia da la finestra inferriata de lo palazzo  Chigi.


cuccurucu
Cuccurucù

Dopo tre chilometri e mezzo di passeggiata in città raggiungo l'inizio del percorso di oggi e subito incappo in un errore della guida, ad un bivio consiglia infatti di prendere la strada di destra anziché quella di sinistra. Fortunatamente stavolta mi accorgo che qualcosa non va. Scottato dall'esperienza del giorno prima decido di fermarmi e controllare con il telefono, confermando il mio dubbio (ora la guida è corretta).
Superato l'inconveniente proseguo sulla strada per altri due chilometri, attraversando noccioleti, ville e campi coltivati. Svoltata una curva vedo il monte Palanzana, ignorato dalla guida, eletto a mia prossima meta. Alle sue spalle spunta il monte Cimino, su cui devo salire per poi scendere a Soriano. Sul mio cammino incontro qualche podista in fuga dai festeggiamenti e un paio di signori di mezza età assorti nei loro pensieri mentre in città si recita messa.
Il primo terzo del percorso termina davanti al cancello dell'eremo di Sant'Antonio alla Palanzana, lo lascio per proseguire dentro il bosco. Sono nel cuore della riserva naturale dell'Arcionello, estesa dal monte fino alle mura della "città dei papi". Quel cancello sembra segnare il confine tra la civiltà e la natura, in cui m’immergerò per le prossime ore. Il quaderno non prevede la salita sul monte ma è troppo invitante per essere ignorato, così cerco il sentiero giusto e punto verso la cima. All'inizio della salita si trova un cippo con l'iscrizione SPQV 7, trascurato e forse destinato a scomparire sotto il muschio. 
selva cimina
Trascuratezza

Si sale di circa trecento metri, camminando per circa una mezz'ora nel bosco tempestato da massi di peperino, eruttati nella notte dei tempi dal cratere del vulcano su cui sto salendo. Sul sentiero incontro un nonno con il nipote in discesa dal monte, le uniche persone oltre a me sul tracciato, comunque uno dei più frequentati su cui camminerò durante la settimana successiva.
Dalla croce posta in cima al Palanzana, sosta più che appropriata visto il giorno dell'escursione, si gode di una bellissima vista. Con un cielo terso potrebbe spaziare fino al mare e all'arcipelago toscano, oggi purtroppo le nuvole mi fermano sulla valle del Tevere, i monti della Tolfa, Viterbo, e numerosi borghi disseminati a valle.



viterbo
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Oltre allo spettacolo sottostante, ce n'è uno più vicino altrettanto meritevole. Tra i grossi massi trachitici coperti dal muschio si nota un manufatto etrusco scavato in un masso dalla forma esagonale. Non è esattamente chiaro a cosa servisse, di certo i resti di legna bruciata suggeriscono che attualmente sia usato come braciere per suggestive grigliate, ma il canaletto scavato al di sotto dell'apertura potrebbe far pensare che in passato fosse una sorta di altare sacrificale con canale di raccolta per il sangue del malcapitato. Rimanendo in tema di liquidi rossi ma meno macabri, potrebbe essere una pestarola per l'uva, anche se mi sembra piuttosto azzardata l'ipotesi che si venisse fin quassù a produrre vino.



viterbo
Incertezza archeologica

Tornando ai giorni nostri, in procinto di scendere dal versante opposto mi accorgo di aver perso (di nuovo) il quaderno del Brancammino, sono così obbligato a scendere dal monte dalla stessa direzione da cui sono venuto. La discesa è breve, il quaderno è stato messo bene in vista sopra un sasso dal nonnetto incontrato poco prima. Da qui proseguo il cammino sul sentiero opposto a quello consigliato da Ammappalitalia, a cui mi ricongiungerò tra qualche chilometro trascorso tra rocce e natura in lento risveglio primaverile.


monte palanzana
Rocce primaverili


Dicevo che mi sarei ricongiunto al sentiero ma, siccome sono un cazzaro del trekking, confondo la descrizione che per pura coincidenza corrisponde esattamente alla strada su cui mi trovo con quella della strada che dovrei seguire. Superato un cancello (segnato nella guida esattamente alla stessa altezza in cui lo trovo, ma riferito ad un altro), entro in un bosco di alte conifere, terreno di caccia al cinghiale riservato alla squadra "Rambo" N° 144.


monti cimini
Daje Rambo!!

Terreno in cui mai mi sarei dovuto addentrare, ma così piacevole da attraversare che arrivo fino ad un provvidenziale cartello. Mi segnala che sto andando dalla parte sbagliata, senza quasi accorgermi dei chilometri inutili aggiunti alla tappa di oggi. Devo girare i tacchi e ritornare quasi all’inizio del bosco di conifere, ma prima di partire per la presa del Monte Cimino che m’irride dai suoi mille metri di altezza, mi concedo una pausa in una delle numerose aree picnic abbandonate. Do fondo alla generosa offerta di  Pianoscarano e mi rimetto in marcia, da qui mi basterà seguire il sentiero 103 per arrivare senza alcuna difficoltà a Soriano nel Cimino. Non ho orari o appuntamenti da rispettare, così questo cambio di flora rispetto ai soliti castagni e noccioli, lo giudico una valida aggiunta al viaggio, più che una perdita di tempo.


monte cimino
Smarrimento
Ritrovata la retta via posso iniziare la salita al Cimino. Si rivela piuttosto faticosa, considerando la ventina di chilometri e la salita sul Palanzana sulle gambe. Appena metto piede nella faggeta la fatica lascia il posto alla sorpresa e i miei passi istintivamente diventano più lenti e leggeri, quasi come se non volessi disturbare gli antichi spiriti di cui parlano leggende millenarie, tramandate sin dagli etruschi. Forse esagero, ma provate a camminare lasciandovi rapire dalla pace della selva e incantare dalla sua quiete spettrale di questo posto, e ditemi se non c’è qualcosa di magico in questi boschi di faggi secolari cresciuti attorno ad enormi massi di peperino muschioso dalla grandezza crescente all’avvicinarsi all’antico cratere vulcanico.
Cammino al cospetto di creature secolari, in una sorta di religiosa ammirazione e non sento il suono dei miei passi, quasi mi muovessi come una creatura eterea al di fuori del tempo. La fitta rete di radici, terra e foglie sopra lo strato di roccia sottostante attutisce ogni suono, silenzia il rumore degli intrusi conferendo alla foresta il suo carattere mistico e suggestivo.


monte cimino
Misticismo selvatico

Pure il mio eroe ispiratore errò in questa selva, dove soccorse Matelda dal rapimento di un gruppo di mangoldi e fece giuramento di portarla dal promesso sposo Uccione.


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Brancaleone alla selva

Più salgo verso la cima e più i macigni aumentano di numero e dimensioni. Vere sculture naturali cesellate dallo scalpello del tempo e dipinte di muschio. Mi ha sempre affascinato camminare nei terreni vulcanici in cui oggi impera la natura rigogliosa, immaginare come qui milioni di anni fa la terra era in ebollizione e ora sembra invece immobile, sospesa nel tempo.


selva cimina
Sculture naturali


In cima al monte trovo altri gitanti della Pasqua, cui chiedo indicazione per raggiungere Soriano. Uno del gruppo mi spiega come tornare al parcheggio delle auto e da lì scendere a valle.
"No, per scendere a piedi intendo", gli dico.
"A piedi non saprei, comunque Soriano sta qua sotto, se vai giù pe' 'a discesa ci arivi senza problemi. Ma te da dove arivi?"
"Da Viterbo".
"Ammazza, 'na sgambata mica da gnente".
"Eh, sono all'inizio, da qui domani vado a Caprarola, poi Nepi, Orte, Bomarzo, Vitorchiano e Civita".
"Civita de Bagnoregio? Bella Civita! Ma ce l'hai er passaporto?"
Lo guardo con sguardo incredulo, "Passaporto?", chiedo.
"Sto a scherzà! Ma mica tanto, eh, che quella se la so' comprata tutta quanta gli inglesi, de italiano un ce sta più gnente. Manca poco che senza documenti nun te fanno manco entrà".
"Certo che te stai a fa en ber giretto, eh, che sei n'appassionato de camminate? Nun sei de qua, però."
"No, Trento, ma vivo a Savona"
"E me pareva dall'accento! E che ti porta da queste parti?"
Gli racconto l'idea del Brancammino, di come sia nato questo viaggio e di come sia un peccato che non sia valorizzato abbastanza. Ci raggiungono gli altri del gruppo.
"Oh, abbiamo uno walker!", dice presentandomi agli altri.
"Che?", chiede una del trio.
"Uno walker, un camminatore!"
"Ah, che bello? E dove vai?"
E avanti a raccontare tutto da capo. Quando finisco ancora non so di preciso quale sia il sentiero giusto, ma mi avvio verso valle accompagnato da un ultimo augurio. 
Mentre scendo, voltandomi di continuo per fissare nella memoria la bellezza della selva illuminata dal sole calante, mi chiedo come sarebbe stato accamparsi qui, se avessi deciso di seguire il piano originale, ovvero usare una tenda per accampamenti selvaggi, scartato in favore di ben più tranquilli riposi e soddisfacenti cene nei borghi medievali, destinazioni finali di ogni giornata. Quella di oggi si raggiunge dopo una discesa di circa un ora su strada sterrata o su un più rapido percorso per downhill (io scelgo il secondo)  e come spesso accade per le discese, questa è più una passeggiata obbligata che una gioia. L'idea che gli spettacoli per oggi siano finiti appesantisce lo zaino e fa sentire la fatica accumulata sulle gambe. È sempre così, quando arrivo agli ultimi chilometri mi prende una sorta di malinconia, mi sembra che tutto sia passato troppo in fretta e di non avere visto o vissuto abbastanza la giornata. Poi mi fermo a rimembrare quanto ammirato per raggiungere la meta ed ecco un grande sorriso si allarga sulle labbra, le spalle si alleggeriscono e il passo procede più svelto, al pensiero di quello che è stato e che domani potrà ripetersi o anche migliorare.
Eccola in vista, Soriano nel Cimino, dominata dal castello degli Orsini a cui si addossano le case  in peperino dell'antico borgo medievale. Residenza di nobili e papi, è stato poi utilizzato dal 1848 al 1989 come carcere. Se qualcuno avesse due spicci da parte, attualmente è in vendita a privati. Dopo un ora di discesa raggiungo il centro di Soriano, dove aleggia ancora il clima festivo della Pasqua. 


trekking monte cimino
Mirando la meta!
Il mio albergo si trova nel quartiere di San Giorgio, significa camminare ancora qualche centinaio di metri in salita prima del meritato ristoro. Mi accomodano nella stanza più economica dell'albergo, un bugigattolo senza vista, arredato con un letto a piazza singola, un armadio e una seggiola. Più spartano l'alloggio, meno invadente la solitudine che inevitabilmente mi cala addosso al tramonto. Quando invece mi capita una bella stanza (come quella a Viterbo) non riesco a non pensare a quanto sia sprecata per un viaggiatore solitario. Il solito rito necessario per un accettabile ritorno alla società, ovvero in abiti e scarpe urbani e senza quel lezzo di caprino che emano dopo ore di camminata, e scendo in paese per festeggiare il finale della Pasqua.

 

soriano nel cimino
San Nicola di Bari
soriano nel cimino
Regnanti et sudditi


borgo medievale
Lo viola et angusto vico



tuscia
Lo belvedere teverino

 Da "I tre Scalini", consigliatomi da una signora incontrata vagando nei bui e semideserti vicoli attorno alla rocca, mi sazio con gnocchi a'i fero e coratella de vitella. Risalire quei tre scalini dopo essere stato seduto per un ora è quasi più faticoso di tutto il cammino di oggi. Esco zoppicando per i prossimi cento metri, finché all'altezza della piazza, in cui ora non si trova anima viva, recupero un'andatura decente e risalgo all'Hotel Eremo, sotto un cielo che preannuncia la pioggia.

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