venerdì 13 maggio 2016

A le acque de la salvazione! (Da Nepi a Orte)

via amerina

30 Marzo 2016

Oh pugnaci, la metà de lo gran cammino est raggiunta et superata in codesto dì de mestizia. Li lochi che traverserò oggi non son menzionati ne le cronache de lo gran Brancaleone, ma la loro beltà est sì rara che non la si puote trascurare.  Tal è la malìa de li lochi celati in forre lussureggianti et de li antichissimi abitati, che ivi mi perdo e fallisco ne la mia impresa, ma voi non abbandonatemi, ite anzi meco in codesta tappa da la maravigliosa natura et archeologia.

Itinerario: Nepi - Falerii Novi - Corchiano - Gallese - Orte

Link per il percorso dettagliato: da Nepi a Falerii Novi, da Falerii Novi a Corchiano, da Corchiano a Vasanello, da Vasanello a Orte

Cammino: 25 km (almeno)

Casal Monte dell'Oca, sette del mattino, un viandante solitario si alza dal piccolo giaciglio e scende a fare colazione. Tutto attorno a lui domina il silenzio della grande sala dove trova qualcosa da spiluccare. Esce solitario dall'uscio aperto a fatica e si incammina pensieroso sul lungo viale campestre, dentro alle necropoli ora silenziose, fino alla Rocca dei Borgia.


rocca dei borgia
Leaving Nepi
Da qui in poi il viandante vi racconterà in prima persona delle sue vicissitudini.
Sono costretto a una sosta obbligata in farmacia per acquistare qualche rattoppo necessario al proseguimento del cammino. La più vicina apre alle nove, ma non il mercoledì, guarda caso, oggi. La prossima è a circa settecento metri da qui, un'aggiunta di un paio di chilometri alla già lunga passeggiata programmata per oggi. Sono già in mostruoso ritardo sulla tabella di marcia, oggi sono infatti previsti più di trenta chilometri sulla via Amerina, da Nepi a Orte, attraverso Falerii Novi, Corchiano e Vasanello. Un tragitto che si preannuncia spettacolare, non affrontato con la serietà necessaria, ma se mi avete seguito fino qui ormai l’avete capito: non sono uno che si preoccupa troppo della perfetta riuscita di un piano, anzi, spesso trovo più soddisfazione nell'affrontare gli imprevisti che nell’organizzazione della giornata, e oggi non ne mancheranno.
Nel parcheggio di fronte alla farmacia mi rappezzo di cerotti intrisi di analgesico e anti-infiammatori per proseguire, mentre la campana rintocca le dieci, un ora e mezza di ritardo rispetto al piano.

Il pranzo lo fornisce il macellaio dell’area mercatale: panino riccamente farcito con coppa di testa di suino e le solite scamorzette da azzannare lungo la via. Mentre affetta il salume mi chiede: “Però te nun sei de ‘ste parti, vero?”
“No, da un po’ più su, da Trento, sto girando la Tuscia a piedi”. E gli racconto dove sono stato, dove andrò e di quanto siano incredibili i posti che ho attraversato.
“Bello eh, com’è che t’è venuta st’idea?”.
“Hai presente il film, l’armata Brancaleone?”.
“A voja, l’hanno girato qui”.
“Ecco, appunto, sto facendo un giro ispirato ai luoghi del film”.
“Ammazza, che bell’idea! Eh sì, la prima scena l’hanno girata tutta qua, eh. Mi nonno j’a fornito tutta ‘a legna pe’ film. Tutte 'e frasche che vedi all’inizio, j’a date lui. Viè, te faccio vedè 'na cosa.”
Lascia la coppa a metà, esce da dietro il bancone  e mi accompagna fuori.
“Viè, guarda”, dice puntando una finestra con il dito.
“La vedi ‘a finestrella lassù?", mi chiede indicando una finestra chiusa con degli scuri di legno seccato al sole, sul casolare a fianco, "da lì ce buttavano giù ‘a gente ne'a prima scena, t’a ricordi?”
“Et come non.”
“Ce stava pure quella, come se chiama… Catherine Spaak, ammazza oh, fatte servì!”
Rientra nel locale continuando a parlare. “Però ce sta n’artro film 'ndo Nepi se vede ancora mejo. Un film co’ Celentano. Se chiama… se chiama…” dice, schioccando le dita come per richiamarlo alla memoria. Si ferma un attimo con la mano tesa in avanti con il pollice premuto contro l'indice e il medio, chiude gli occhi per concentrarsi al massimo e finalmente esclama: “Er più! Storia d’amore e de coltello! Ecc’a là! Conosci?”
“Mai visto, ma lo recupero.”
“Bravo, che lì l’acquedotto se vede proprio bene!”. E torna a tagliare la coppa.
Quando finisce e sta per metterla nel panino, mi accorgo che è un pasto troppo misero per sfamarmi.
“Tagliane un po’ di più, per favore, che qua se no non si cammina.”
“De più?”, mi chiede strabuzzando gli occhi.
“Aoh, me pari uno che conoscevo, era de Reggio Emilia, se intendeva de maiali. Me faceva fà certi panini quando passava de qua, che levate. Robbe da du', tre etti de Mortadella a botta. Io tajavo, je chiedevo: t’a metto tutta?”, racconta gesticolando con il coltello in mano. “E quello: butta, butta, me risponneva. E io lì, a fa 'sti panini mostruosi…” Si interrompe un attimo, il viso percorso da un smorfia di tristezza, poi riattacca, con tono basso: “e ora nun c’è più… un infarto… aoh, 'sti panini l’hanno stroncato. Però se la godeva, eh.”
“Vabbè vabbè”, dice tornando pensieroso alla mia coppa. Ne taglia in silenzio altre fette, si volta, mi mostra la pila di carne, stavolta soddisfacente e chiede: “Che dici, basta?”
“Oh, e mo’ ce siamo”, rispondo imitando il suo accento.
Quello sorride, farcisce il panino, incarta tutto e mi congeda. “Aoh, en bocca ar lupo! Vai Brancaleone.”
Lodi dunque alla Macelleria da Attilio, preziosa in questa lunga giornata, e avanti, verso Falerii Novi!
* Mi scuso in anticipo per i probabili errori di scrittura in romanesco, che avrete capito, non è il mio dialetto. Un aiuto nella correzione di questi dialoghi è più che gradito.


l'armata brancaleone
'a legna der nonno
nepi
Attilio e 'a finestrella
Lascio Nepi alle spalle incamminandomi su Via San Paolo, verso la Via Amerina. Raggiunto lo sterrato incontro la prima difficoltà, un bivio non segnalato che rischia di mandarmi in tutt'altra direzione, non fosse per un contadino che richiama la mia attenzione con un cenno della mano.
"La via sta de qua", dice indicando un cancelletto di fianco alla sua fattoria.
"Grazie, chissà dove andavo a finire".
"Mica sei er primo, 'o sai quanti se perdono de qua?"
Saluto il buon fattore e varco il cancello a difesa del sentiero che attraverso una rigogliosa vegetazione, per lo più di graminacee e arbusti in cui ronzano nugoli di moscerini,  scende verso un ruscello. Superato il ruscello grazie ad un saldo cavalcone si prosegue in campagna, su un sentiero che è davvero difficile definire tale, una striscia di erba battuta in mezzo alle dannate malepiante puntute che già mi hanno tinto le gambe di viola nei giorni precedenti.


nepi
Sentieri

Qui iniziano già a vedersi gli antichi insediamenti umani che, insieme alle forre, saranno il tratto distintivo del percorso di oggi. Case o ripari preromani scavati nella tenera roccia, ora utilizzati dai contadini come ripostigli per gli attrezzi. Superata la giungla urticante si raggiunge un sentiero che attraversa un’antica necropoli quasi abbandonata a se stessa. Le entrate alle case dal basso soffitto scavato nella roccia sono quasi sbarrate da ortiche ed altre erbacce, molti dei loculi rischiano di sparire nell’edera avanzante. Per quanto mi affascini osservare la natura riappropriarsi di ciò che era suo prima del nostro avvento, mi spiace vedere come questi siti siano lasciati al loro destino, che altro non potrà essere se non la scomparsa definitiva.



necropoli
Il degrado - Edera e ortiche su tomba etrusca

Di certo ci dev’essere qualcuno che di tanto in tanto si arma di falce e roncola e da una ripulita a questi luoghi, altrimenti sarebbero invisibili da tempo, ma davvero non è possibile fare un lavoro migliore? Un quesito che mi porto anche sull’Isola Conversina, raggiunta dopo una piacevole camminata nei boschi e le forre poco fuori di Nepi. Di certo questi posti non diventeranno mai mete del turismo di massa, che preferisce località più rilassanti ed attrezzate, quindi non c’è il rischio che una migliore cura e pubblicità di queste zone le trasformi in formicai di famigliole annoiate, solo l’opportunità per i pochi appassionati di conoscere meglio questi luoghi millenari.
Dall'Isola Conversina si scende nella forra, ammirando un antico ponte romano prima di addentrarsi nella fitta vegetazione. Felci rigogliose, alberi e piante di ogni sorta radicati nei massi di peperino scavati dall'acqua del torrente, nugoli e sciami di insetti, rettili e roditori furtivi che sfuggono alla presenza del tripode invasore, gracidio di rane, sbattere di ali membranose e piumate, cinguettii e l'incessante scorrere delle acque. La musica della natura mi rapisce, cammino a bocca aperta davanti a questo spettacolo inaspettato, un arcobaleno di colori primaverili spezzato dalla dura roccia dei macigni vulcanici e delle pareti scoscese che nascondono questo mondo lussureggiante, ornato di tanto in tanto da loculi e colombaie, segni di civiltà etrusca scavati nella roccia friabile.



isola conversina
Tripode invasore

Sono così affascinato dalla selvaggia bellezza di questo luogo che all'altezza della necropoli dei Tre Ponti mi perdo e cammino sul sentiero sbagliato per qualche chilometro, finché non raggiungo un punto morto e sono costretto a tornare indietro. Per un attimo la frustrazione supera il fascino del sentiero nascosto, tanto che scaglio a terra il bastone spezzandone il manico.  In questa forra giace ora, marchiato 1113, il bastone di nocciolo che dalle campagne di Caprarola mi ha accompagnato fin qui. Lo sostituisco con un ramo trovato poco dopo, dalla forma imperfetta, più simile a quella del bastone di un mago delle favole, che di un pellegrino, mi piace così tanto che decido di disonorare la tradizione per questa volta e, anziché abbandonarlo alla fine della tappa, lo porterò con me fino al termine del viaggio.


forra tuscia
Giungla laziale



forra laziale
Malìa della forra
 
Una volta in superficie lo scenario cambia ancora, raggiungo una tagliata ottimamente conservata, con pavimento di basolato romano e spettacolari necropoli ai lati. Si tratta di Cavo degli Zucchi, uno dei tratti più noti e meglio curati della Via Amerina, di cui si tessono abbondanti lodi, trascurando invece l'altrettanto lodevole, seppure per motivi diversi, meraviglia della forra che conduce fin qui e di cui mi sono già proposto come appassionato cantore.



via amerina
Camminare nella storia
A trenta minuti dall'uscita da Cavo degli Zucchi raggiungo la prima tappa della giornata: Falerii Novi. Varco la porta di Giove alle tre meno un quarto e restano ancora venticinque chilometri da percorrere, le probabilità di concludere con successo il giro di oggi si abbassano e devo iniziare a pensare ad un piano alternativo per raggiungere Orte con mezzi diversi dalle sole gambe. Il panino con la coppa gustato all'ombra delle antiche mura dell'insediamento romano aiuterà a trovare una soluzione.



porta di giove
E mo?

Prossima tappa: Corchiano, da lì deciderò il da farsi, questo è tutto il consiglio che la coppa norcina è in grado di portarmi. Otto chilometri dopo, sotto un bel sole di fine marzo, tra noccioleti e campi ormai in pieno sboccio, tratti di zona industriale e infine la forra di Corchiano, raggiungo la meta. Percorro l'ultimo tratto a passo svelto, non adeguato alla ricchezza di questo museo a cielo aperto che si trova lungo il Rio Fratta, dove abbondano bellezze naturalistiche e testimonianze del passato, cavernette preistoriche e protostoriche, tombe e vie cave falische, un ponte romano, un tratto della via Amerina, antiche mole, opere idrauliche falische, nonché una centrale idroelettrica in funzione fino ai primi anni Sessanta del Novecento.
Alle diciassette, davanti alle colonne della chiesa di Santa Maria del Soccorso, concludo la seconda delle quattro tappe  pianificate. Restano due, al massimo tre, ore di sole e più di sedici chilometri da percorrere. Sono ancora persuaso dall'idea di poter affrontare l’ultimo tratto prima che cali il buio, se pesto un po' sulle gambe e non faccio errori di navigazione, ma poche centinaia di metri dopo arrivo ad un punto in cui vado già in crisi.  Mi imbatto in un cartello che indica la via Amerina, deviazione per Gallese, la guida non spiega però se sia necessario prendere quel bivio per poi raggiungere Vasanello o se esistano altre strade. Non trovando alternative lo seguo, persuaso dall’idea che sia l’unica cosa da fare, fino a raggiungere un grosso incrocio di vie provinciali. Più che appropriato, visto che rappresenta anche la croce della mia avventura sulla Via Amerina.
A questo punto ho perfino finito le riserve idriche e non ho nessuna intenzione di camminare su una strada asfaltata e trafficata per chilometri, così stramaledico la mia pessima organizzazione che oggi mi ha solo privato di molti chilometri di bel cammino, invece di regalarmi un imprevisto da affrontare, e prendo la tanto temuta ma inevitabile decisione: l'arresa.
Al ritorno dal mio viaggio scoprirò che mi sarebbe bastato seguire la strada per Gallese e poi ricongiungermi a quella principale per raggiungere Vasanello, ma in questo momento, senza più acqua, le gambe piuttosto dolenti e nessuna certezza di raggiungere l’obiettivo, trovare un modo per raggiungere Orte con altri mezzi è la scelta più sensata. Una rapida ricerca mi informa che da qui non ci sono autobus, treni o taxi per Orte, non resta quindi che confidare nel buon cuore del locandiere.

Chiamo il proprietario della locanda dove ho prenotato e gli spiego la situazione. Dopo un giro di telefonate accordiamo di incontrarci a Gallese, dove suo padre verrà a prendermi in auto.
Il borgo dista un'ora e mezza da qui, e per fortuna è raggiungibile attraversando campagne e persino tratti di basolato dell’antica via. Cammino per circa una mezz’ora, assetato, dolorante, ma per qualche momento ancora deciso a raggiungere Gallese a piedi, finché all'ennesimo noccioleto guardo il monte Soratte, silenzioso compagno per quasi tutto il giorno, sorrido, mi siedo un attimo sul ciglio della strada e  rifletto sulla necessità di questa arida marcia forzata; non la trovo e così mi alzo, pollice al vento. Pochi minuti dopo si ferma una macchina sgangherata, guidata da un ragazzetto di vent'anni.
"’Ndo vai?", gli chiedo.
"’Ndo arivi?", mi risponde l'altro.
"Gallese".
"E sali, va, ce devo annà pure io".
Gli racconto della mia disavventura, quasi volessi cercare un' assoluzione alla colpa di aver abbandonato il cammino. Lui si limita ad ascoltare.
“Dov’è che vai de preciso?”, chiede.
“Lasciami dove ti è comodo, poi ci penso”.
“Vabbè, te lascio ar parcheggio sotto 'e mura, va bene?”
“Et come non.”
E così fa.
Lento cala il tramonto sulle mura del paese, che mi limito a contemplare dall’esterno, mentre inizio a lavorare il bastone da passeggio con il coltello. Mezz’ora dopo sono circondato da trucioli, caduti intorno a me come i granelli di una clessidra che ha scandito l’attesa. Mentre il cielo inizia a tingersi di rosa arriva l’auto su cui attraverserò la valle del Tevere illuminata dal caleidoscopio del tramonto.
"No, non sarebbe mai stato possibile terminare il giro a piedi", mi dico guardando il Soratte sparire lentamente nelle tenebre, quando saliamo la rocca di Orte fino alla locanda.
Arrivati in cima, del sole non c'è più traccia, abbattuto e deluso dal fallimento della missione non ho nemmeno troppa voglia di cercare un'osteria o di vagare come di consueto nel borgo deserto, mi accontento del ristorantino gestito dalla moglie del locandiere, ad una rampa di scale dal mio letto. Nulla di notevole ma non mi posso davvero lamentare, ho scelto io di non sforzarmi in una più intensa ricerca enogastronomica e ne accetto le conseguenze azzannando un tenero filetto di porco comunque gratificante, prima di chiudere le palpebre su questa giornata.
Non riesco a prendere sonno, ancora dispiaciuto dall'insuccesso. So che rimpiangere ciò che non sono riuscito a compiere non mi riporterà ai sentieri e alle bellezze mancate, penso a quanto ancora mi resta di questo viaggio e alle tappe dei prossimi giorni, a quello che rimarrà fisso nei miei ricordi, lascio scorrere la sconfitta come l'acqua delle incantevoli forre, dimentico le ipotetiche immagini di percorsi ormai perduti lungo il cammino e inizio a sognare di essere un antico falisco a spasso nella Tuscia.

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