lunedì 9 maggio 2016

Aìta, aììta! (Da Caprarola a Nepi)

l'armata brancaleone

29 Marzo 2016

Breve è la via che da lo borgo di Caprarola porta a quel di Nepi, breve ma non priva di memorabili momenti et disavventure. Venite dunque a errar tra noccioleti et altra verzura in primaverile sboccio, guatati da lo solitario monte Soratte, financo a lo acquedotto de Nepi, da cui mirarem cascade, la val de lo rio Treja et lo Castel de lo Santo Elia, prima de la ultima ventura notturna tra anguste necropoli et buie campagne.

Itinerario: Caprarola - Ronciglione - Nepi - Castel Sant'Elia


Cammino: 26 km

Percorso a piedi dettagliato (variante Ammappalitalia): Ronciglione - Caprarola e Castel Sant'Elia - Ronciglione

Un risveglio soleggiato a Caprarola, rompo il digiuno con un caffè da moka e qualcosa trovato nella cucina dell'appartamento prima di sedermi sull'uscio di casa per ripulire gli scarponi, osservato dagli studenti che tornano a scuola. Il borgo si sta lentamente risvegliando sotto l'imponente facciata di Palazzo Farnese, primo obiettivo della giornata.
Mi presento all'entrata alle 8.30, ma i portoni sono ancora chiusi. Dopo circa un quarto d'ora di paziente attesa, decido di bussare al portone. Nessuno risponde. Qualcuno si affaccia alla finestra e ne approfitto per chiedergli perché ancora non sono aperti.
"Beh, ma come, siamo stati aperti ieri, ché era Pasquetta e di solito de lunedì teniamo chiuso, oggi è giorno di pulizie."
"Quindi oggi state chiusi?", chiedo.
"Eh sì, ieri abbiamo fatto visitare fino le sette, un giorno per le pulizie ci vuole, me spiace".
"E vabbè, ma almeno scriverlo sul sito, no?", gli chiedo dalla frustrazione, pur sapendo che lui non ne ha colpa.
"Io nun ne so gnente, me spiace, faccio solo il custode qua", risponde un po' seccato.
"Certo, certo, mi scusi, è che ci tenevo. Vabbè, me lo segno nella liste delle cose da recuperare".
E così faccio (recupererò qualche mese più tardi, a novembre), mentre volto le spalle e ritorno nel borgo. Mi spiace davvero, perché questo palazzo, soprattutto la sala del mappamondo e la scala regia, era una delle poche cose che davvero volevo visitare oltre alla natura della Tuscia, ma forse è meglio così, non avrei avuto il tempo necessario per esplorarlo a dovere. 
Il cammino di oggi non sarà molto lungo e da ieri le lancette sono state spostate avanti di un ora, regalandomi più ore di luce, ho così abbastanza tempo per gironzolare nel borgo di Caprarola in alternativa alla visita del palazzo, prima di rimettermi in marcia verso sud e poi a oriente, verso Nepi e la seconda parte del Brancammino. 
Dal palazzo scendo sulla strada principale, ottenuta nel '500 squarciando l'antico borgo medievale. La spettacolare via sale dai piedi della collina scavalcando burroni, in parte riempiti e in parte superati con ponti, fino a raggiungere il piazzale antistante l'imponente Palazzo Farnese.



palazzo farnese
Squarci per scorci


caprarola
Imponenza


caprarola
Scrutando l'alternativa

I vicoli medievali del borgo profumano del bucato steso sui fili tesi da una casa all'altra, abitazioni che sembrano scavate nel grigio peperino chiazzato di muschio verde. Gli abitanti sono per lo più anziani, forse gli ultimi abitanti di questi borghi.
Civita di Bagnoregio è nominata "La città che muore", a causa della continua erosione della collina su cui si erge, ma al contrario di molti altri borghi simili pullula di vita (dovremo attendere ancora qualche decina di chilometri per raggiungerla con il Brancammino) e la sua "morte" è dovuta solo ad una geologia precaria, mentre qui, come altrove, la morte di questi paesi non offre un suggestivo epiteto per incuriosire i turisti, bensì è vera, vera e trascurata. È annunciata dai numerosissimi fluorescenti cartelli "Vendesi" appiccicati sui massicci portoni delle case. Note di colore in un grigio austero. Un paese in svendita, un altro pezzo di storia e cultura che se ne va. Forse verrà comprato da investitori stranieri, come Civita di Bagnoregio, o forse sarà destinato a rimanere una meta snobbata dai turisti e continuerà nel suo lento declino. Qualunque sarà il suo destino, lo aggiungo ai ricordi di questo cammino, provando ad immortarlarne qualche scorcio.



borgo medievale
Grigio austero, verde muschio


caprarola
Lento declino


caprolatti
Gli ultimi dei Caprolatti


Ancora due tappe obbligate: la norcineria Tacconi in via Filippo Nicolai, fornitore del pranzo di oggi: panino gigante alla porchetta di Norcia e scamorzine affumicate a parte, e il Bar la Rocca, dove faccio un ultimo rifornimento di calorie sottoforma di caffè e cannolo alla crema per affrontare la tappa di oggi e raggiungere i primi cento chilometri di cammino. 


caprarola
Leaving Caprarola

Caprarola e Ronciglione distano circa sette chilometri, i due borghi sono collegati da numerose strade, Ammappalitalia suggerisce la più tranquilla e meno trafficata. Questo percorso offre un ultima vista panoramica su Caprarola e la valle del Tevere che si estende ai suoi piedi, prima di inerpicarsi tra noccioleti e castagneti fino al prossimo borgo.  Nel primo tratto poco fuori dal paese che ho appena lasciato si incontrano numerose casette improvvisate con lamiere, pannelli di plastica e legno, tenute insieme da cordoni e fil di ferro. Atmosferica arte di arrangiarsi, purtroppo rovinata dall'odore degli scarichi dei saltuari mezzi agricoli sulla strada. 
Caprarola
Arte d'arrangiarsi

Ricavo il bastone di oggi da un bambù preso da una di queste aziende agricole, lo sostituirò in breve con un vecchio legno di nocciolo, fragile, ma bello da incidere. Quando cammino in luoghi piuttosto monotoni, la mia attenzione si sposta sulle incisioni nel legno del bastone procurato per la giornata e di solito abbandonato al termine dell'itinerario. E' un modo per staccarmi di tanto in tanto dal cammino e rialzare la testa all'improvviso, per essere sorpreso da ciò che mi circonda. 
Oggi mi succede vicino allo scollinamento verso Ronciglione, alzo gli occhi e davanti a me appare il tripudio della primavera, come se negli ultimi due giorni fiori e foglie siano spuntati tutti insieme, tinteggiando la valle e le colline di un tenue verde punteggiato da sbuffi di fiori bianchi e rosa. Ronciglione è dietro la collina, a mezz'ora di marcia, durante la quale costeggio castagneti e aziende agricole accompagnato dai versi di diverse bestie. L'ultima di queste è un grosso Rottweiler, mi accoglie nel borgo ringhiando e abbaiando dal terrazzo di un grande villa. Il feroce mastino accenna anche a scagliarsi addosso al foreste, ma alla fine resta lassù, impotente,  lasciandomi proseguire indisturbato verso via Marco Polo.

rottweiler
Benvenuto a Ronciglione
Da questa via parte l'itinerario suggerito da Marco Saverio, io lo seguirò solo in parte, visto che passa per Falerii Novi e la via Amerina, parte del programma di domani. Ci tornerò più tardi, dopo una doverosa visita al borgo medievale alla mia destra.
Perlustrata Ronciglione in lungo e in largo, mi siedo sulle scalinate della chiesa e degusto il grosso panino alla porchetta. Mangiare questa prelibatezza sulle scale della casa del Signore mi fa sentire un vero pellegrino.
I successivi chilometri si sviluppano tutti tra noccioleti e campi, rilassanti, piacevoli, ma non spettacolari. Offrono però un bel momento: l'apparizione del monte Soratte, solitario nella valle del Tevere, le sue sei cime tondeggianti diventeranno lontane e silenziose compagne di viaggio  durante le prossime tappe del cammino. 


tuscia
Ave, Soratte!


Rilevante anche come punto di interesse brancaleonino, il Sorattte fa da sfondo al duello tra Brancaleone e Teofilatto dei Leonzi. 




l'armata brancaleone
Cinquant'anni orsono

Il percorso di Ammappalitalia, dicevo all'inizio, porterebbe a luoghi molto suggestivi, dentro forre e necropoli, ma per me sarebbe la ripetizione della tappa di domani e dovrete quindi aspettare per il racconto delle meraviglie di quei luoghi. Oggi mi accontento di proseguire su sterrati e purtroppo anche su un tratto di strada provinciale, evitato in parte camminando nei noccioleti.




noccioleto
Nocciola, la colonna portante dell'economia della Tuscia

Percorrendo via Vallescura e via del Rio Vicano arrivo infine su Via degli Orti. Casal Monte dell'Oca, dove riceverò giaciglio e colazione, è raggiunto verso le sedici, molto prima di quanto previsto. Nepi dista ancora tre chilometri, ma da qui si vede già parte della rocca dei Borgia e dei campanili. Potrò raggiungerla più facilmente alleggerito dello zaino e dopo il consueto ritorno ai costumi urbani. La proprietaria del casale non c'è, d'altronde le avevo detto che sarei arrivato verso le sei, non sapendo quanto fosse lunga la strada presa in deviazione al percorso di Ammappalitalia.  Ad attendermi al suo posto c'è una coppia con un figlio di due anni. Posso comunque approfittare della doccia e darmi una ripulita dal solito lezzo di sudore e piedi bagnati prima di scendere al paese.
Iniziano a vedersi e sentirsi i segni dei primi novanta chilometri: spalle arrossate dallo zaino, una leggera infiammazione al ginocchio sinistro e alla coscia destra, oltre a un ematoma che si sta gonfiando sullo stinco destro. Ma non importa, si va avanti, siamo solo a metà e non sono dolori che un lauto pasto e un riposo non possano guarire. Quello che più mi preoccupa sono invece delle macchie violacee che coprono completamente i polpacci. All'inizio erano arancioni, poi sempre più rosse, ma non ci avevo fatto troppo caso, erano i segni delle maledette piante puntute in cui mi ero imbattuto nel bosco fuori Marta, durante la prima tappa. Ora stanno assumendo un colorito inquietante, ma non sono un motivo valido per abbandonare l'impresa. Non sia mai che il Brancammino si fermi di fronte a una banale orticata, per quanto brutta da vedersi.
Per evitare sforzi inutili mi faccio accompagnare in paese dalla coppietta. La strada dalle campagne al centro sfrutta una tagliata preromana, sulle cui pareti si trova un'antica necropoli, ora purtroppo utilizzata anche come immondezzaio.
Mi faccio lasciare sotto al grande acquedotto del settecento, importante tappa brancaleonina. La scena d'apertura, quella dell'assalto al villaggio, è stata girata interamente qui.


acquedotto nepi
L'arrivo dei barbari


l'armata brancaleone




area mercatale nepi

tuscia
Il set, ieri e oggi

Sebbene molto sia stato coperto dal cemento, i luoghi del film sono facilmente riconoscibili. Dall'acquedotto salgo nel borgo medievale, alla rocca dei Borgia e alle numerose chiese dell'abitato di Nepi. Da qui vedo una delle peculiarità morfologiche della Tuscia che più mi affascinerà in questo viaggio e avrò il piacere di esplorare nei tre giorni succesivi: le forre. Lunghe gole che squarciano la valle del Tevere, invisibili da lontano, ma mozzafiato quando ci si trova sulle loro pareti a perpendicolo scavate dalla millenaria erosione dei torrenti. Nepi sorge su uno sperone tufaceo di forma triangolare, delimitato da pareti sub-verticali, generato dall'erosione del Rio Falisco a nord e del Rio Puzzolo a sud. C'è un sentiero panoramico che offre una bella visuale sulla valle del Treja, percorrendolo rimango incantato dalla visione di Castel Sant'Elia, sull'altro lato della valle.


nepi
Valle selvaggia
valle del treja
La cascata - Acqua su tufo

Illuminato dalla luce del tramonto, a picco sulla valle boscosa è una meta troppo invitante per essere ignorata. Così esco dal paese, seguendo le indicazioni dei cittadini che, tanto per cambiare, non sono a conoscenza di sentieri, e raggiungo Castel Sant'Elia dopo tre chilometri su strada provinciale. Da qui lo spettacolo della valle del Treja al tramonto è bello da commuovere e purtroppo le mie misere doti fotografiche non gli renderanno mai giustizia.



nepi
Miseria fotografica

Laggiù si scorgono antichi ponti romani e segni di sentieri, ma sono troppo bui e lontani per essere percorsi stasera, devo accontentarmi di contemplare dall'alto questa selvaggia bellezza.
Da Castel Sant'Elia non ho alcuna intenzione di tornare a piedi sulla brutta strada percorsa all'andata, così aspetto un autobus, alzando di tanto in tanto il pollice confidando  in un autista generoso, ma non c'è nulla da fare.
L'autobus arriva poco dopo le venti e mi riporta in una Nepi deserta, dove scopro dai rari passanti che oggi è giorno di chiusura per tutti, o quasi, i ristoranti e le trattorie. Seppur poco convinti mi invitano a tentare in quattro ristoranti, uno in fila all'altro, che si riveleranno tutti tristemente chiusi. Come il giorno prima a Caprarola, devo rinunciare all'idea di una grossa mangiata all'interno delle mura antiche ed esco dalla porta romana passeggiando lentamente. Mi soffermo sulla cascata illuminata di azzurro, che da sotto le mura zampilla verso la valle del Treja, e tento un ultimo assalto all'area mercatale. Qui mi consolo con una pizza, l'unica pietanza che trovo questa sera davanti all'amichevole Germania - Italia (4-1). Nulla da segnalare, solo un riempitivo per lo stomaco prima di inoltrarmi nelle campagne.
La notte è ormai calata da qualche ora e le stelle si stanno riunendo in cielo, quando inizio la passeggiata di ritorno verso Casal dell'Oca. Dentro la tagliata, al cospetto della vecchia necropoli illuminata dalla flebile luce dei lampioni, sale improvviso un suono di tamburi. L'acustica del cavone non permette di capire da dove arrivino le percussioni accompagnate da un flauto che intona una melodia medievale. Potrebbero essere vicinissime o a chilometri di distanza da qui. Fuori dalla tagliata i colpi vibrati sulle pelli sembrano venire dalla direzione opposta. Sono confuso e affascinato dal ritmo costante e vorrei tanto essere più vicino, o meglio ancora, dentro, all'origine di questa musica che mi attira a se come il canto delle sirene. Sul cammino verso casa incontro un uomo intento a buttare via l'immondizia, gli chiedo se sappia da dove viene la musica.
"Sarà una festa in qualche villa", mi risponde poco convinto.
Mi immagino questa fantomatica festa di appassionati di medioevo, impegnati in festini unti e orge ubriache, e il desiderio di trovare questi invisibili musicanti si fa ancora più forte. Guardo le ville ai lati della strada cercando un indizio, ma le note trasportate dal vento cambiano in continuazione distanza e provenienza rendendo impossibile localizzarle, così proseguo verso il meritato riposo, mentre l'Orione splende sulla musica irraggiungibile. Il ritmo mi accompagna fino a casa, sul buio viale da cui vedo le luci delle stelle e altre più vicine, ma non meno ultraterrene:  le candele del cimitero di Nepi, viste da qui sembrano le luci di una lontana città.
Arrivato finalmente al Casale, infilo la chiave nella toppa del portone in legno e ferrro battuto. La chiave si incastra nella serratura e nonostante i numerosi tentativi non riesco ad estrarla o farla girare. Un bel guaio, ho chiuso dentro la coppia con figlio e per me si prospetta una notte all'addiaccio, visto che la proprietaria non risponde al telefono. Forse c'è ancora una possibilità di salvezza. Vado sul retro del casale e tiro manciate di sassolini alla finestra degli altri occupanti, nella speranza che riescano ad aprire da dentro. L'ultima volta che usai questa tecnica fu per entrare a casa mia, provando a svegliare mio fratello, ma in tutta risposta continuò a ronfare e mi lasciò a dormire sull'uscio di casa, con il cuscino della cagna a mò di materasso e una tovaglia di plastica per coperta. Al Casale dell'Oca mi va meglio: dopo una gragnuola di sassi sul vetro, il marito si sveglia e in qualche modo riusciamo ad aprire la porta. Pericolo scongiurato, lunga vita agli antichi metodi di comunicazione! Tutto sarebbe stato più semplice se avessi avuto il numero di cellulare, ma non avrei avuto nulla da raccontare su come riuscii a risolvere l'ennesimo imprevisto con un po' di improvvisazione. Intanto, lontano, nelle notte stellata i tamburi accompagnano il mio sonno.

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